RINVIATO A DATA DA DESTINARSI
"Educazione potrebbe semplicemente significare: abitudine a osservare, riflettere, discutere, ascoltare, capire […].
Detto più semplicemente, prendere l’abitudine a pensare."
Alberto Manzi
Il maestro è una figura fondamentale della società democratica: l’esperienza di Alberto Manzi attesta come alfabetizzare sia emancipare, sia espressione di un futuro che include, che mette a frutto i talenti dei suoi cittadini, rispettandone diritti e doveri.
Lo spettacolo ripercorre la biografia di Alberto Manzi dal primo dopoguerra, nel carcere minorile Aristide Gabelli di Roma, agli anni ’70 in Sud America con gli Indios, dall’insegnamento per adulti in Tv con la celebre trasmissione degli anni '60 Non è mai troppo tardi, a quella più recente per gli extracomunitari, tutte esperienze mosse dalla convinzione che alfabetizzare sia aiutare ad evadere dal carcere dell’ignoranza che genera violenza, modelli autoritari, emarginazione sociale.
Educare al piacere del pensiero, questa in sintesi la pedagogia di Manzi, che per tutta la vita considerò il suo ruolo quale mediatore di saperi trasmessi attraverso l’interrogarsi sulle cose, l’esprimere senza timore le proprie opinioni, idee, cognizioni e da esse dedurre significati, insegnamenti, conoscenza, secondo un metodo rigorosamente scientifico nell’approccio, estremamente creativo nei modi.
“Non sai scrivere? Vieni qui, facciamolo insieme, vedrai che è facile.” Un invito garbato e gentile che vale per i bambini, gli indios, gli extracomunitari, gli analfabeti adulti, perché non è mai così facile, e non è mai troppo tardi per imparare a leggere e scrivere la vita.
NOTE DI REGIA
Una ragione affettiva mi lega ad Alberto Manzi: avevo pochi anni quando con mio nonno - si chiamava Mimì, il nonno, come un’eroina d’opera - guardavo, incantata, quel dolce maestro insegnare alla Tv in bianco e nero. Insegnava disegnando e ci chiedeva di indovinare cosa fosse quel segno fatto col carboncino nero, insegnava con lo sguardo, insegnava con il sorriso, insegnava come a scuola allora non si sapeva insegnare…
Nonno Mimì, assomigliava a quel maestro non nei tratti ma nella mitezza, nella ironia sottesa ad un sorriso lieve sempre presente, da lui ho imparato ad amare le storie e forse a raccontarle, da Alberto Manzi ho imparato a scrivermi la vita. Sempre con un sorriso appresso, sempre con la voglia di imparare…
La storia del maestro Alberto Manzi, è declinata, nello spettacolo, attraverso la relazione con un ragazzo del carcere minorile Aristide Gabelli di Roma, dal primo dopoguerra fino agli anni ‘70 in Sud America con gli Indios, passando dall’insegnamento per adulti in Tv con la celebre trasmissione Non è mai troppo tardi, tutte esperienze mosse dalla convinzione che alfabetizzare sia emancipare, sia espressione di un futuro che include, sia aiutare ad evadere dal carcere dell’ignoranza che genera violenza, modelli autoritari, emarginazione sociale. Lo scorrere del tempo è scandito da un testo crudo e immaginifico, e da una partitura sonora e visiva che evidenzia gli ambienti e le differenti epoche.
Le immagini realizzate da Mirto Baliani, e scelte insieme durante lunghe notti insonni, compongono una drammaturgia visiva evocativa che interseca il testo, ne amplifica i passaggi, senza mai commentarli. Una scrittura scenica che ho creato alternando episodi tratti dalla reale esperienza educativa di Manzi e da frammenti della sua biografia, a passaggi “romanzati”, abbandonandomi al piacere di una scrittura emotiva volta a raccontare l’uomo, la persona.
Una figura sfaccettata e complessa, quella di Alberto Manzi, uno spirito critico, che con lucida coerenza intellettuale, anche rischiando in prima persona, ha fondato la sua identità nella cura per l’altro, per gli altri. Perché non è mai così facile, e non è mai troppo tardi per imparare a leggere e scriversi la vita….
Daniela Nicosia
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